IN-EC-CESSO

Una bomba per  cintura

Non ci saranno tagli. Non integrazioni. Non correzioni. Sarà la vita di qualche giorno. E la vita non si rimaneggia. Al massimo si ricorda. No,non vi racconterò di quando ero bambino. I ricordi li ho precipitati nella turca, con l’ultima cacata”.

testo e recitazione Marco Gobetti | co-direzione Anna Delfina Arcostanzo, Simona Gallo, Marco Gobetti | luci Simona Gallo

Ri-allestimento 2008. Primo debutto nel 2006. Spettacolo in repertorio.

Un operaio il pomeriggio di un venerdì d’estate non uscì dalla fabbrica e si rintanò nel cesso. Lì trascorse il fine settimana, scrivendo per due giorni e tre notti su un computer palmare e facendo precise richieste: se queste non fossero state accettate entro le ore 6 del lunedì successivo, l’operaio si sarebbe fatto esplodere con il cesso, i muri e le macchine della fabbrica.

Questo è un fatto realmente accaduto, ma nessuno lo sa e nessuno lo saprà mai. Perché nessuno è autorizzato a crederci.

scheda_IN-EC-CESSO-una_bomba_per_cintura

Schermata 2014-02-28 alle 18.09.32

Foto di Antonella Tambone

È in atto nelle fabbriche una costante rigenerazione degli atti di potere, sotto forma di un mobbing silenzioso e logorante: il terrorismo psicologico fatto di sguardi, urla – o “non sguardi” e silenzi – e subdole disumanità. Atti di potere ignorati e sottovalutati, che l’ingresso dell’informatica nell’industria ha definitivamente offuscato, creando robot perfettamente mascherati: semidei imbellettati competenti e rassicuranti da una parte e uomini sani saggi tranquilli e felici dall’altra.
Oggi accade spesso che per gli operai, i pensieri e i sogni – nell’attimo stesso in cui nascono – si trasformino rispettivamente in peccati gravi ed illusioni.
Le fabbriche sono specchio fedele della società occidentale contemporanea, fiera dei suoi più diffusi ingredienti:
– una classe dirigente spaccona impreparata ed arrancante, manovrata da uno stato maggiore furbo sprezzante e interessato;
– una cittadinanza licenziata da anestetici ora dolcissimi ora amarissimi, vittima e artefice del proprio inarrestabile precariato culturale.
Fra i due ingredienti un muro pesantissimo, reso perfettamente invisibile ad arte, da forze superiori molto terrene.
Occorre smettere di bere spettacolo e di dare spettacolo: urge diventare spettacolo, per ritornare ad esistere.
Recuperare passato e presente, per agire pacificamente ma intelligentemente. Lavorare non per sopravvivere, ma per vivere guadagnando futuro.

Dopo un’anteprima al Teatro Out Off di Milano nel 2006, IN-EC-CESSO – Una bomba per cintura debuttò in prima nazionale a Venezia al Teatro Fondamenta Nuove nel 2007 e fu poi replicato in vari festival e stagioni, approdando persino su strada – in versione adattata – con il Teatro Stabile di Strada®.
Il ri-allestimento per la Festa FIOM 2017, avviene nella significativa cornice dello Spazio MRF.

Estratto di rassegna stampa:

«Bisogna per forza mettersi in posizioni inconsuete…». Per forza. Per farsi ascoltare, per essere presi sul serio, per vincere la cortina anestetica dell’indifferenza, anche per dire banalità, ma banalità che pesino, che facciano rumore come un’esplosione.
Nei panni di jeans scolorito di un operaio esasperato dal mobbing, nauseato dalla catena di montaggio e ingannato dagli affetti, Marco Gobetti sta in equilibrio su un piede solo e racconta al pubblico del San Rocco una strana storia di rabbia e alienazione. Ha un computer palmare in una mano, un cellulare nella tasca e una bomba per cintura. Parla circondato da un recinto di carta igienica, le mura immaginarie e puzzolenti del bagno di una fabbrica: «il lavandino che gocciola sulla sinistra, l’orinatoio sulla parete di fondo. È importante che li visualizziate, perchè non conta tanto quello che dico, ma il cesso intorno». Un cesso: posizione inconsueta che l’operaio Ludovico si è andato a cercare un venerdì pomeriggio, poco prima della fine del turno di lavoro. Lì si è barricato e ci rimarrà per tre giorni; poi, se le sue richieste non verranno accettate, salterà in aria con cesso, mura e fabbrica. Perchè «uno crede sempre di dire le cose così, per dire, e invece le dice per fare…».
La bomba l’ha costruita seguendo le istruzioni di un giornale; la rabbia per farla esplodere l’ha accumulata in anni di piccoli e grandi maltrattamenti: un ec-cesso (come recita il titolo di questo inquietante ma iperrealistico monologo) di violenze psicologiche, delusioni, frustrazioni, logorio di nervi. Ha tre giorni e due notti per raccontarli, per scrivere un copione che continuamente disfa in un trita-documenti e ricompone sullo schermo del palmare, per spedire le sue parole via e.mail a qualcuno che forse ci crederà e le porterà in scena. Ha tre giorni e due notti per riprendersi la parte di protagonista della sua vita, per «smettere di bere spettacolo e dare spettacolo», per «diventare spettacolo, ritornando ad esistere».
Giorgia Marino – www.valenzaalchemica.it – 3 novembre 2007

E’ opera di fantasia ma del tutto verosimile e alquanto sconvolgente questo curioso monologo di Marco Gobetti, attore ed autore che nel suo percorso dosa saggiamente esperienze in compagnia o in solitudine. Queste ultime però sono sempre marcate da una strenua esigenza narrativa. Vuole raccontare, e lo sa fare bene, certe storie. Come questa di un operaio barricatosi nel cesso di una fabbrica, esasperato dal mobbing, vessato da innumerevoli grandi e minute violenze; ha un palmare e un cellulare, comunica con l’esterno tramite e-mail e qualche furente risposta a un telefonino dotato di buffa suoneria, che sdrammatizza, perché il contesto è tragico. Appiccicata al busto, il protagonista ha una cintura di esplosivi. Si farà saltare in aria se la direzione non accetterà le sue richieste, che sono di poter andare a funghi qualche mattina, di avere insomma una vita più libera, scardinata dalla produzione. Quasi dialoga con il pubblico; su un palchetto rettangolare traccia limiti di carta igienica. Screzia di ironia un’attesa snervante, snocciolando un soliloquio di ottima fattura.
Maura Sesia – La Repubblica, 15 settembre 2007

Come in un telegiornale, non si dà più il debito peso ai temi stringenti quando scorrono con noiosa, quotidiana implacabilità. La prima sorsata di birra è quella che conta, le altre a seguire diventano volume: così la parola kamikaze – simbolo attualissimo dell’estremo sprezzo per la vita – e la crisi della condizione operaia, tra mobbing come minaccia di licenziamento ed esternalizzazione in Paesi più agevoli, sono sempre più presenti e al tempo stesso più aeree nei media. Anche per tali motivi In-Ec-Cesso – una bomba per cintura, pièce che Marco Gobetti porta nel weekend in prima nazionale al Teatro Fondamenta Nuove di Venezia, va osservata con grande attenzione. Essa mette lo spettatore di fronte all’imminenza non concitata, al sereno ultimatum, consentendogli però i minuti per analizzare le motivazioni, sforzandosi di condividerle. Quello che il teatro, essendo vita, sempre dovrebbe porsi tra gli obiettivi. La rappresentazione inizia nei bagni, ove l’uditorio è condotto, e si fa scena sovrapponendo diversi piani narrativi, dall’interpretazione in soggettiva alla lettura dal documento, con riserva di variare ad ogni replica. “Lo riscriverò – specifica Gobetti – a seconda dei visi che mi troverò e mi sarò trovato di fronte. E dei cibi che avrò mangiato. E dei vini che avrò bevuto o non bevuto. E dei pezzi di vita che avrò vissuto.Questo copione è stato fatto per essere disfatto”. Sullo sfondo ma sempre presenti, i temi del ritorno al luddismo via e-mail e dell’autoconservazione, che forse per una volta non ha la meglio sull’abbandono finale di un ambiente dove pur sempre “l’operaio conosce trecento parole e il padrone mille, per questo è il padrone”, come nella lezione di Fo. Parole nuove, magari inglesi e articolate a esprimere modernità. Inserita nel cartellone della rassegna Dissezioni, dedicata al teatro sperimentale italiano, In-Ec-Cesso sosterà nella sede lagunare le due serate di venerdì 13 e sabato 14: l’autore torinese ne cura anche la regia, qualifica maturata in parallelo ad un’intensa vita attoriale che dal 1993 lo ha portato a collaborare con numerosi protagonisti dei circuiti underground, fino al teatro di strada.
Enrico Veronese – Il Venezia, 11 aprile 2007

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *