Uomini e altri

Quattro esercizi di antropologia per scoprire le strategie di relazione con l’Altro. Un percorso guidato che attraversa le ‘nostre’ dimore per incontrare le  ragioni degli Altri e mostrarci finalmente riflessi nei loro occhi

“La costruzione dell’identità – visto che l’identità dell’Oriente, come quella dell’Occidente, quella francese e quella inglese, pur essendo un deposito di esperienze collettive distinte, è, in fin dei conti, una costruzione – richiede che si stabiliscano degli opposti e degli “altri” la cui realtà positiva è soggetta a continua interpretazione e reinterpretazione delle divergenze rispetto a “noi”. Ogni epoca e ogni società ricrea i propri “altri”. Lungi dall’essere un soggetto statico, l’identità del sé o dell’”altro” è un processo storico, sociale, intellettuale e politico su cui si interviene profondamente e che all’interno di ogni società si svolge come un confronto che coinvolge individui e istituzioni”. E.W. Said

a cura di Anna Delfina Arcostanzo

Progetto in corso di realizzazione

Questo progetto intende fare emergere il ruolo determinante che hanno assunto nella storia dell’uomo le costruzioni identitarie, così come le relative retoriche e politiche.
Attraverso la costruzione di un’immagine e di un concetto di Sé, ciascuna cultura umana è in grado di affrontare e di organizzare l’universo – altrimenti caotico – della propria esperienza esistenziale, storica, sociale.
Dalla forma che ciascuna cultura si dà, dunque, dipendono anche le relazioni che essa intrattiene con gli altri.
Ecco perché l’immaginario sull’identità, la sua formazione e la sua narrazione hanno assunto in passato e assumono oggi con particolare evidenza un ruolo determinante nel panorama storico e politico globale.
Sarà opportuno, pertanto, cominciare dall’inizio, risalendo all’origine della definizione identitaria, vale a dire ai processi e alle strategie di differenziazione di Sé dall’Altro da sé (sia esso rappresentato dal mondo Animale, dal Divino o dall’Altro).
E sarà inevitabile dare forma ad alcune domande.
Attraverso quali strategie una cultura umana si forma un’idea di sé stessa?
E cosa le consente di fare quell’idea?
E cosa non le consente di fare, invece?
Ciò che scopriremo, rispondendo a queste apparentemente banali domande è sorprendente.
Lo scopo di queste lezioni, infatti, è uno smascheramento: il disvelamento dei nostri meccanismi di definizione dell’identità e dell’alterità, ci permetterà finalmente di scoprire, riflesse nel volto che abbiamo dato all’Altro, le nostre ragioni.

La sinossi della prima lezione (in preparazione):

ZOO UMANI, ETNO E FREAK SHOW
Idee di umanità da Ota Benga ai giorni nostri

In questa lezione di antropologia si affronta il tema della disumanizzazione dell’Altro.
In passato, questo processo ha assunto – tra le altre – anche la forma degli “Zoo umani”, degli “Etno Show”, dei “Freak Show”, e oggi persiste in manifestazioni talvolta eclatanti (si pensi Lo Show dei record, il programma di Barbara D’Urso in cui venne mostrato l’uomo più basso del mondo, alla stregua di un fenomeno da baraccone), talvolta subliminali.

Si è detto poco, sinora, in merito a questi fenomeni di costume che attraversarono con strabiliante successo tutto l’Ottocento e parte del Novecento e che contribuirono in modo consistente alla definizione di un “Sé occidentale” che abbiamo in gran parte ereditato.
Eppure si tratta di un dato estremamente eloquente, in grado di suscitare, da sé, una riflessione critica circa le dinamiche delle nostre (auto)rappresentazioni.

Si pensi che ancora all’inizio del Novecento, era possibile visitare a New York la gabbia delle scimmie e del pigmeo congolese Ota Benga, esposto dall’antropologo Madison Grant come dimostrazione dell’esistenza, nei popoli africani, dell’“anello mancante” tra l’uomo e la scimmia. (anello che si trovava, fatalmente, proprio tra gli abitanti del continente più saccheggiato della storia).

Pare dunque che l’idea per cui tutti gli esseri umani viventi abbiano pari dignità e – soprattutto – siano compartecipi della stesso grado di umanità, indipendentemente dalla loro condizione fisica o dalla loro appartenenza geografica, sia tutt’alto che antica e tutt’altro che scontata.

Qual è il grado più alto che possono raggiungere gli altri nella scala delle nostre definizioni di umanità?

Anzitutto, come abbiamo visto, si deve stabilire chi siano gli esseri umani e chi no.
E, una volta stabilito chi siano gli umani, si scoprirà che tra loro si vanno definendo e ridefinendo incessantemente varie “gradazioni” di umanità, in funzione del periodo storico e dell’opportunità (geo)politica.

Questa prima lezione di antropologia, attraverso un percorso accattivante e immaginifico, serve dunque a rompere il ghiaccio con un “fondamentale” dello sguardo antropologico: a riconoscersi quali uomini che definiscono altri uomini e a smascherare una convinzione errata (l’idea che l’attribuzione della condizione di “umanità” a tutti gli esseri umani sia l’effetto di un dato “naturale”).
Ma, soprattutto, serve ad operare una disillusione civile e pedagogica: a prendere coscienza del fatto che quell’idea non è affatto una conquista definitiva della storia dell’uomo, bensì l’embrione – fragile, indifeso – di una storia possibile ancora tutta da compiersi e completamente affidata alle nostre mani.

220px-Baartman

 Chi di noi sa che poco più di un secolo fa alcune persone venivano usate ed esposte, nei circhi, esattamente come si fa oggi con gli animali?
O che nelle Esposizioni Universali erano certe persone, certi indigeni, ad essere esposti in appositi recinti e a rappresentare le attrazioni di maggior successo?
L’infelice storia della cosiddetta “Venere Ottentota” – una ragazza di etnia Khoi (attuale Sudafrica), mostrata a quattro zampe, nuda e in catene al pubblico inglese di inizio Ottocento, a causa delle sue natiche particolarmente sviluppate – ci racconta questa incredibile verità.
Si chiamava Saartije Baartman e non tornò mai umana, neanche da morta: il suo corpo fu sezionato, studiato, messo in formalina e infine esposto al Museo dell’Uomo di Parigi, dove è stato possibile vederlo fino il 1974.
Un’altra donna nera ebbe la stessa sorte, ma in questo caso la sua autopsia fu addirittura eseguita in pubblico, ultimo spettacolo, ultimo guadagno per il suo “proprietario” bianco, il Signor Barnum.
Il circo Barnum, che l’aveva spacciata per la nutrice 161enne di George Washington, dovette a lei la sua straordinaria fortuna nei primi decennio dell’Ottocento. 

 

 

Torna a Lezioni recitate