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Quattro lezioni recitate per raccontare la scoperta dell’antichità dell’uomo e la sua importanza in rapporto alla società contemporanea

È fin troppo banale dire che l’umanità non ha più una dimensione umana, lo è appena un po’ meno dire che abbiamo provocato il crollo e la sparizione di numerose civiltà che, ciascuna a suo modo, possedevano un equilibrio che noi abbiamo disprezzato, perché eravamo convinti della superiorità globale della nostra civiltà. Era difficile, cent’anni fa, dissociare i nostri valori morali o estetici dai nostri mezzi tecnici, e rinunciare al nostro etnocentrismo pur se avevamo più da imparare che da insegnare. È possibile oggi conservare lo stesso atteggiamento? È possibile, di fronte al numero sempre crescente di individui appartenenti alle nazioni ricche, che cercano, con mezzi approssimativi, di recuperare un mondo a misura reale dell’uomo, continuare a considerare minori le discipline il cui fine è proprio mettere in evidenza le formule d’equilibrio in società che non erano ancora schiave della macchina? Abbiamo il diritto, quando è più urgente farlo, di permettere che scompaiano, in una cultura mondiale che rappresenta sempre più il trionfo della monotonia, dei gruppi umani di cui sarebbe utile anche per noi salvaguardare almeno l’immagine? Non sappiamo a cosa può servire l’aborigeno australiano, né quale interesse possa offrire la conoscenza intima dell’uomo di Neanderthal. Ma di fronte ai risultati spesso scoraggianti della nostra evoluzione, davanti al fallimento del contatto tra la nostra civiltà e quella delle grandi masse, il cui sviluppo era ancora poco tempo fa estraneo al nostro, ci si può domandare se non ci manchino gli strumenti per una comprensione autentica della qualità umana. Possiamo domandarci se non è ora di prendere coscienza del fatto che le scienza umane più gratuite saranno probabilmente, fra una generazione, considerate come quelle che sarebbe stato più utile sviluppare. Pesante sarà allora la nostra responsabilità per aver compreso troppo tardi che l’uomo doveva essere studiato prima di tutto come essere umano e non, prioritariamente, come un possibile cliente.” André Leroi-Gourhan

a cura di Valentina Cabiale

Progetto in corso di realizzazione

Quattro monologhi archeologici per ogni genere di pubblico, realizzabili in qualunque spazio. Le sinossi dei primi due:

LA SCOPERTA DELL’ANTICHITA’ DELL’UOMO
Che cosa significa per ognuno di noi? Chi l’ha resa possibile?

Per lungo tempo non ci si è preoccupati di stabilire a quando risalisse l’origine dell’uomo. I miti delle origini sono generalmente vaghi in termini cronologici, e da essi l’età dell’uomo può essere calcolata solo in modo indiretto e approssimativo. Ad esempio i testi biblici, presi alla lettera, sembravano indicare che la storia dell’uomo (e della terra) non coprisse un periodo maggiore di 6000 anni. Le scoperte scientifiche e paleontologiche e archeologiche che si sono succedute in ambito occidentale a partire dalla metà del XIX secolo hanno portato, in questo campo, a un ampliamento temporale enorme. Oggi esistono prove che i diretti antenati dell’uomo moderno siano comparsi in Africa intorno a 2,5 milioni di anni fa, mentre i primi Homo sapiens probabilmente sono apparsi circa 200.000 anni fa. Come si è arrivati alla scoperta dell’antichità dell’uomo? Cosa cambia, per ognuno di noi, sapersi più antico? E’ importante conoscere quanto lunga o breve, lineare o complessa sia la storia dei nostri antenati? E’ possibile conciliare la conoscenza scientifica con i miti? La scoperta di questa antichità è stata graduale e contrastata. Qui si tenta di raccontarla attraverso le storie degli uomini che l’hanno resa possibile. E’ un modo per descrivere il rapporto di noi uomini e donne contemporanei con il passato e, in ultima analisi, con l’altro e gli altrove temporali e geografici.
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I PRIMI UOMINI: LUCY E GLI ALTRI

La comparsa sulla Terra dell’uomo moderno è frutto di una evoluzione assai complessa, delineabile graficamente con un albero genealogico non lineare ma a cespuglio. L’Homo sapiens, la specie a cui apparteniamo, oltre a discendere da una serie di altri homo che nel corso del tempo si sono evoluti sino a diventare sapiens, ha cioè convissuto per millenni con specie affini, prima di rimanere l’unica specie umana (di scimmia bipede) sulla terra. La ricerca dei nostri più lontani antenati, dell’ominide più antico, del progenitore per eccellenza, è affascinante quanto intricata. Si tenterà di raccontare, attraverso la storia delle scoperte (dal primo cranio di australopiteco, ritrovato a Taung nell’Africa del sud nel 1924, alla famosissima Lucy ai primi resti di uomini di Neanderthal), la storia di questi primi uomini o quasi uomini o uomini mancati: ardipitechi, australopitechi (comparsi ca. 4 milioni di anni fa), paratropi (ca. 2,5 milioni di anni fa), fino agli Homo erectus (circa 1,5 milioni di anni fa) coi i quali iniziano forse le prime migrazioni verso l’Europa e l’Asia, ai primi Homo sapiens (ca. 200.000 anni fa in Africa; in Europa compaiono intorno ai 40.000 anni fa), all’uomo di Neandertal, che per migliaia di anni ha convissuto con l’uomo sapiens. Un viaggio ai confini dell’umanità (non solo in senso cronologico).

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